Un pomeriggio da Rubinacci

Un pomeriggio da Rubinacci

 

Nel parlare di certi luoghi, di certe persone, si corre davvero il rischio di cadere rovinosamente nel banale, nell’already heard.

Motivo, questo, sufficientemente valido per inibire la mia testa dall’immaginare lontanamente di scrivere un articolo niente meno che su Rubinacci.

Eppure…

Lo scorso Pitti ho avuto l’occasione ed il piacere di conoscere Luca Rubinacci.

Quando si dice che l’eleganza non dipende soltanto da ciò che indossi, lui ne è l’esempio pragmatico.

Abbiamo scambiato due chiacchiere molto amichevoli riguardo i rispettivi abiti indossati e parlato di tessuti, scoprendoci accomunati dalla passione per i vecchi tessuti inglesi.

Nel congedarci Luca mi invita ad andarlo a trovare nel suo showroom a Milano, in Via del Gesù, traversa di Via Montenapoleone.

Approfittando dei miei appuntamenti a Milano in concomitanza della Fashion Week maschile, ho colto l’occasione al volo per onorare l’invito.

L’impatto visivo è subito forte, già da fuori, la scritta Rubinacci ed il logo LH (London House) mi confermano che sono nel posto giusto.

All’entrata vengo accolto da una gentile receptionist alla quale chiedo di Luca. Mi comunica che c’è ma è impegnato nel rilasciare un’intervista per una TV brasiliana, ne avrà per una mezz’ora abbondante.

Ne approfitto quindi per godermi lo spettacolo ed inizio a girare per lo showroom, fiondandomi subito sulle cravatte, la mia passione.

Ne ho una piccola collezione personale di cravatte Rubinacci e, neanche a farlo apposta, ne indossavo proprio una di vecchia data quel giorno.

Nel mentre spulcio tra le centinaia di cravatte esposte, mi si avvicina gentilmente il signor Mariano, papà di Luca. La sua figura, i suo modi garbati e la sua voce sono davvero inconfondibili.

Mi stringe la mano e mi da il benvenuto.

Onorato della sua conoscenza non posso far altro che complimentarmi; per tutto.

Mi raccomanda di non esitare a chiamarlo qualora mi fosse occorso qualcosa nel mentre che attendo Luca.

Torno alla cravatte… Meravigliose!

Sul lato destro del negozio ci sono tutte quelle in seta, con le stampe che vanno dal pois, alle fantasie ai paisley (le mie preferite). Mentre dal lato sinistro ci sono tutte quelle in tricot in una gamma di colori davvero impressionante.

Mente spulcio estasiato arriva una telefonata in negozio; la receptionist chiama il signor Mariano, è per lui.

Giusto il tempo di rispondere “si, pronto” che l’atmosfera cambia d’improvviso virando in un clima decisamente divertentissimo.

Dall’altro capo del filo doveva esserci qualcuno di famigliare e di sicuro poco gradito in quel momento, tanto da scomporre il signor Mariano facendogli sfoggiare, nella breve, evasiva e seccata discussione, un accento fortemente partenopeo, cosa che di solito non si percepisce minimamente dalle interviste.

Riaggancia il telefono e se ne va borbottando.

Io e la receptionist ci lanciamo uno sguardo sorpreso e tratteniamo a stento una risata che sarebbe uscita fragorosa.

La simpatia di Mr. Mariano è forte e contagiosa al pari della sua eleganza.

D’improvviso mi sento completamente a mio agio, come se fossi di casa.

Tempo qualche minuto e compare Luca, indossa un abito in lino blu.

Ha appena terminato l’intervista e mi viene a salutare sorridendo, con l’affetto e la cordialità di un vecchio amico.

– “Bellissima la tua cravatta Giorgio!”

– “Ti piace? Pensa un po’… È tua!”

Mi guarda con stupore misto a incredulità fino a che non gli mostro l’etichetta cucita sulla pala posteriore: “Mariano Rubinacci Napoli”.

– “Alla fine il complimento me lo sono fatto a me e non potevo farmi un complimento migliore!”

Scoppiamo a ridere!

Mi invita a fare un tour del negozio iniziando proprio dal salone principale, dove ci troviamo, e con cui ormai ho preso abbondantemente confidenza.

Mi mostra tutta la linea di accessori composta da cravatte, foulard, cappelli, posacenere, e ben cento fantasie diverse di pochette da taschino, che tiene a sottolineare con fierezza, sistemate con cura all’interno di un elegante tavolo in legno e vetro.

Ci spostiamo poi verso l’interno dello showroom.

Qui si trova la collezione Rubinacci ‘Ready to Wear’.

Una linea di certo più low-cost e pronta ad un uso quotidiano e meno attento che, seppur lavorata prevalentemente  a macchina, ha delle rifiniture interne e degli inserti in seta completamente lavorati a mano.

Una sorta di atto di fede nei confronti del nome e della storia che casa Rubinacci si porta dietro.

 

Sulla destra invece si trova un’area interamente dedicata alle camicie.

Un muro di tessuti fanno da cornice a quelli che sono i modelli di camicie realizzati con tutte le possibili varianti di tagli, colletti e polsini.

Luca mi mostra inoltre le novità della prossima  collezione: camicie in denim realizzate con tre tagli di tessuto jeans vintage.

Una più bella dell’altra.

 

Proseguendo di pochi passi si entra nel vivo, dove ha inizio il primo step, il punto di incontro tra sarto e cliente: la sala bespoke.

Anche qui un muro di tessuti s’innalza fin sopra la volta e, senza neppure dirlo, ne rimango estasiato!

In bella mostra, qui, ci sono cinque tagli di giacche doppiopetto e monopetto.

Luca mi mostra un paio di quei tessuti su cui ho poggiato gli occhi e mi spiega che quelle sono le “ultime pezze” rimaste, alcune delle quali hanno anche  più di tren’tanni.

Una di queste è davvero molto particolare, un misto cachemire e denim che mai avevo visto prima.

Poi ovviamente è una festa di gessati, lini, tweed, Principe di Galles e grisaglie.

Il signor Mariano è intento nel colloquiare con un cliente giapponese che, a giudicare da ciò che indossa, è già cliente Rubinacci.

Successivamente Luca mi accompagna nel “Salotto”.

Prima di entrare però resto ipnotizzato da quello che mi appare davanti agli occhi.

Mi avvicino, la tocco emozionato; dal vivo è molto più bella che sulle foto dei vari libri su cui è stata pubblicata e su cui l’ho sempre ammirata.

L’ho riconosciuta, è la giacca doppiopetto il lino tussor realizzata dal nonno Gennaro negli anni ’30 ed esposta al “Museum at Fashion Institute of Technology” di New York.

“E non solo!” mi dice Luca, “Quella giacca ha fatto un po il giro del mondo. Adesso sta bene qua.”

Lo penso anch’io.

 

Entriamo quindi nel salotto, come dicevo.

Salotto è riduttivo. Pensandoci bene si avvicina moltissimo al mio ideale di paradiso terrestre.

Ambiente di un’eleganza unica, arredato come si conviene per un gaudente gentiluomo:

Divani Chesterfield in pelle tabacco, humidor per sigari, bottiglie di distillati ed una libreria a fare da protagonista.

Su uno dei ripiani della libreria scruto la foto, con tanto di araldo e firma, di un personaggio che conosco molto bene, in assoluto uno degli uomini più eleganti al mondo, non che una delle mie icone di stile:

Il Principe Michael di Kent.

“Siamo riusciti a fargli tradire Saville Row!” mi dice orgoglioso Luca e mi racconta in via confidenziale come tutto questo sia potuto accadere.

Un membro della casa reale inglese che commissiona un abito in Italia tradendo la secolare tradizione sartoriale britannica… Chissà come l’hanno presa a Saville Row i sarti della Regina.

Il giro prosegue. Usciamo quindi da una porta laterale che ci immette nel meraviglioso cortile del Palazzo dei Conti di Melzi di Cusano, sede milanese di Rubinacci.

Lo spettacolo architettonico che mi si presenta è davvero mozzafiato.

“Qua fuori il telefono prende solo ed esclusivamente se ti metti al cento. Se ti sposti un poco più a destra oppure a sinistra, segale morto! Non ho mai capito perché.”

Già… Chissà perché!

Entriamo quindi in quello che è il motore, il cuore, il fulcro di tutto quanto visto fin ora: la sartoria.

Come ogni bottega sartoriale, anche qui si respira un’aria sospesa, sine tempore, molto diversa da quella vista fin’ora.

Per capirci, provate ad immaginare un po’ la diversità che può esserci tra il palco di teatro ed il suo backstage.

Nell’entrare, resto sorpreso dal silenzio e dalla concentrazione con cui i quattro sarti, presenti in quel momento, svolgevano il proprio lavoro.

La risposta che ricevo al mio saluto è stentata, con unanime filo di voce.

A rompere quell’atmosfera sacrale ci pensa Luca che, da ottimo Cicerone, riprende la sua guida.

“È qui che nasce tutto”.

Mi mostra quindi dei capi il lavorazione, alcuni passaggi del taglio e mi spiega quelle che sono le fasi principali.

 

Mi mostra una giacca pronta, indossata sul manichino.

 

La sbottona e la toglie dal manichino; so già cosa vuol farmi ammirare:

La fodera interna è in seta stampata raffigurante il veliero “Victory” dell’ammiraglio Nelson che, nel 1793, salpò le acque di Napoli.

Una vera e propria opera d’arte che impreziosisce a dismisura la giacca.

Stessa seta usata, inoltre, per rifinire la parte interna della patta delle tasche.

Sono pronto a scommettere circa la mia espressione davanti a quello spettacolo.

 

Mi mostra poi alcuni capi finiti e in attesa della consegna, altri invece pronto per la prima prova ed infine i cartamodelli dei clienti abitué a cui non necessita più il rituale appuntamento delle tre prove.

Mentre continuiamo a chiacchierare, ci lasciamo alle spalle la sartoria, facendo il percorso a ritroso.

L’ambiente calmo, concentrato e silenzioso mi ha messo in testa qualche domanda.

La sartoria giù a Napoli funziona allo stesso modo?

“Il totale opposto Giorgio. A Napoli c’è una confusione che ti lascio immaginare. Spesso mi combinano anche dei bei casini.

Mettici poi che sono divisi in fazioni… Il pantalonaio non si parla con chi fa le giacche e viceversa. Due squadre rivali.

Non c’è minima comunicazione.

In compenso sono di una velocità incredibile! Se li chiami dicendo che ti occorre una giacca oggi per domani, tu domani, ci puoi contare, avrai la giacca pronta.

Cosa impensabile con i sarti milanesi.

Con loro vai sul sicuro, non devi stare li col fiato sul collo a controllare che non facciano errori.

Però sono lenti”.

L’ideale sarebbe quindi unire la velocità dei sarti napoletani con il metodo e l’attenzione dei sarti milanesi.

Mi chiedo come possa mai accadere quest’impensabile fusione Napoli-Milano.

Rientrati dentro, Luca mi accompagna nella sala prove.

Nel mentre del giro mi sono innamorato di un paio di pantaloni ed era giunto il momento di provarli.

Indossati sono ancor più belli!

Luca mi prende addosso le misure della lunghezza fino al fondo e con gli spilli segna i 4 centimetri da accorciare.

 

Purtroppo però il tempo a mia disposizione era esaurito; gli comunico che avrei provveduto io ad apportare le modifiche necessarie.

Quasi con aria di sfida mi chiede quindici minuti di tempo; non posso che accordare.

Si dirige verso la porta che conduce al cortile e quindi alla sartoria, mentre io nel frattempo ne approfitto per riordinare le mie cose e i miei pensieri.

Passa qualche minuto e lo vedo rientrare raggiante, con l’aria di uno che ha appena vinto una partita di tennis al tie-break: “Giorgio… Orlo eseguito alla perfezione in soli sette minuti! Meglio di così è umanamente impossibile.”

E alla fine è bastato un semplice orlo ad un paio di pantaloni per unire Napoli e Milano.

Perciò se ora vedessi la “Madunninna” mangiare “‘o babà” non mi stupirei.